Ormai è da più di sei settimane che si è concluso a Budapest il Festival Centro-Europeo del Cinema Italiano. Nei miei momenti di pausa o in qualche attimo pensieroso risuscitano ancora vivamente in me le immagini e i ricordi che hanno preso posto nel mio cuore. Immagini che mi fanno pensare e che generano un sentimento pieno d’emozione. Sono riuscita a vedere solo due film del programma molto vario. Tutte e due le volte, informandomi in un modo un po’ superficiale sul film prima di andare a vederlo, mi immaginavo una cosa diversa, non saprei determinare delle aspettative precise, ma posso dire che sono rimasta stupita.
Su Il profumo del tempo delle favole di Mauro Caputo e Giorgio Pressburger mi immaginavo una fiction, così mi ha ben sorpresa la sua caratteristica di documentario. Meglio lo si potrebbe definire, come ha suggerito Pressburger, „film di parola”, dove infatti sono soprattutto le parole ad avere importanza. In pratica abbiamo seguito sullo schermo cinematografico per quei 65 minuti i pensieri più profondi, più sinceri e per questo così naturalmente umani di un uomo ormai non nei suoi primi anni di vita. Giorgio Pressburger durante una passeggiata notturna, attraverso un monologo, tira fuori tutte le sue angosce, tutti i suoi dubbi dell’essere uomo, di comprendere cos’è la fede. Si fa tante domande alle quali solo filosofando, dialogando con sé stesso o con un essere superiore si può avvicinare a cercare di trovare una specie di risposta. Torna a riconsiderare soprattutto il periodo dell’infanzia che si dimostra essenziale nello sviluppo spirituale di un uomo. E in effetti lo è in quanto le esperienze lasciano il segno più profondo in quello stato di estrema purezza e di semplicità. Il protagonista tocca dei temi che indipendentemente dalla religione o dall’educazione possono interessare tutti quelli che hanno a che fare con la fede. Viaggiando nell’universo dei pensieri con Pressburger ci dobbiamo rendere conto che questa strada non ha una fine. Nonostante dietro qualcuno ci sia un lungo cammino percorso, numerose esperienze o molte conoscenze, rimarrà sempre un continuo ’vagare’.
Sebbene il secondo film non abbia niente in comune con quest’ultimo, possiamo riportare il tema del vagare in un altro ambiente e senso. Le sorelle italo-francesi del Madeleine di Lorenzo Ceva Valla e Mario Garofalo sono in una loro fase di vita molto sensibile: una adolescente, l’altra una ragazzina curiosa, desiderosa di dare e ricevere amore. La loro è una ricerca diversa, in un certo senso inconsapevole e appunto per questo necessita cioè necessiterebbe di attenzione da parte di un qualcuno più saggio, di una sorta di guida: i genitori. Madeleine e Sophie passano tutta l’estate dalla nonna italiana dove affrontano una serie di difficoltà con il mondo e anche, da buone sorelle, tra di loro. I piccoli eventi sono animati dall’infinita attesa e speranza in un capovolgimento: le ragazze decidono di andare loro stesse da loro padre. Alla fine del film i conflitti sembrano essere risolti ma quello che colpisce è il seguire tutto quanto dal punto di vista di una bambina. Abbiamo potuto rivivere delle esperienze d’infanzia fino al punto di immedesimarci completamente con la protagonista. I tempi, le scene, i dialoghi del film erano perfettamente adatti a mettere il pubblico nel posto della protagonista.
Entrambi sono film che danno qualcosa allo spettatore. Sono sicura che nessuno abbia lasciato la sala cinematografica senza che qualcosa si sia mosso dentro di lui.
Siamo fortunati ad avere qui a Budapest la possibilità di partecipare a iniziative così preziose e personalmente aspetto con ansia il cinemafest del prossimo anno!
Ágnes Bura