Uomini Contro, una coproduzione italo-jugoslava del 1970, è la denuncia dell'assurdità della guerra e della folle disciplina militare: la pellicola fu accusata di vilipendio dell'esercito e boicottata, a dispetto della qualità e del cast d'eccezione. Infatti tra i vari protagonosti del film c'è Gian Maria Volontè, accanto al promettente ma prematuramente scomparso Mark Frechette, e l'adattamento cinematografico del romanzo di Emilio Lussu (1890-1975). Un anno sull'altipiano è stato ultimato dal poeta Tonino Guerra, da Raffaele La Capria e dal regista stesso della pellicola, Franco Rosi.
Lorenzo Marmiroli
"E' infatti possibile che il film "risenta" di quella vena pacifista degli anni '60-'70 sbocciata in opposizione alla crudele guerra del Vietnam"
Uomini Contro ripropone in chiave cinematografica il romanzo autobiografico di Lussu, scritto alcuni lustri dopo la fine della Grande Guerra, a cui l'autore partecipa come volontario, cavalcando l'onda degli interventisti delle "radiose giornate" del maggio 1915: l'opera dell'autore sardo conferma un dato di fatto relativo alle produzioni artistiche-letterarie sulla Grande Guerra, e cioè il "ritardo" con cui queste vengono scritte e pubblicate. Un anno sull'altipiano viene ultimato in Francia, dove Lussu vive in esilio perché antifascista, e pubblicato a Parigi solo nel 1938. Nella prefazione del volume è l'autore stesso a precisare che, senza le insistenze ed i suggerimenti dell'intellettuale Gaetano Salvemini (1873-1957), direttore della rivista culturale L'Unità - problemi della vita italiana (1911-1920) ed amico di Lussu, dalle posizioni democratico-interventiste durante la Grande Guerra, il libro non avrebbe mai visto la luce. Le difficoltà incontrate dallo scrittore sardo nel confrontarsi con la propria esperienza durante la Grande Guerra confermano quelle incontrate da gran parte della letteratura bellica, pubblicata molti anni dopo la fine del primo conflitto mondiale: basti pensare a Niente di nuovo sul fronte occidentale, di E.M. Remarque, edito solo nel 1928, o Un addio alle armi di E. Hemingway, del 1929, con forse l'eccezione del Buon soldato Švejk di Hašek, scritto già nel 1921, ma che presenta l'esperienza bellica con toni decisamente diversi da quelli usati dagli autori tedesco, statunitense ed italiano.
Uomini contro si definisce "liberamente ispirato" ad Un anno sull'altipiano, ma dopo la lettura del romanzo, saltano agli occhi un certo numero di passaggi riprodotti molto fedelmente dal film: solo per citarne alcuni, andrebbero segnalati l'episodio sull'uso dei coltelli che il generale Leone consiglia al tenente Ottolenghi, quello delle corazze Farina e quello del tenentino mandato in pieno giorno a tagliare il filo spinato davanti alle trincee austriache, l'ammutinamento della truppa che assume chiari toni proto-fascisti, o il dialogo sull'amore per la guerra tra il tenente Sassu, alter-ego di Lussu nel film, ed il generale Leone, e molti altri.
D'altro canto, l'autore Lussu non ha apprezzato fino in fondo il film di Rosi, reagendo alla cupa atmosfera senza speranza che il film presenta con le parole "Abbiamo anche cantato in guerra". E' infatti possibile che il film "risenta" di quella vena pacifista degli anni '60-'70 sbocciata in opposizione alla crudele guerra del Vietnam. In Uomini Contro la pesantezza della guerra è affidata al colore grigio, al fango ed alla foschia, e il nemico fa la sua comparsa solamente due volte, la prima in un'anacronistica carica di cavalleria, facilmente respinta con grande strage di uomini e bestie, e la seconda in un disperato tentativo di fermare i soldati italiani che, spinti dai propri ufficiali come bestie al macello, si lanciano inutilemte all'assalto di posizioni troppo impervie e ben difese per poter esser conquistate coll'eroismo individuale.
La conclusione tragica della pellicola lascia un sapore amaro, ma non sorprende: nel 1917 la vita vale poco nelle trincee del Nord-Est, un Vietnam tutto italiano.